E’ rimasto uno dei pochi attimi in cui il vuoto, che porto dentro, non riesce ad urlare questo suo silenzio.
Per alcuni momenti lo sguardo resta rivolto in basso, tra i miei piedi, e i pensieri sono una lista di cose fatte, di cose non fatte, se va bene, di cose ancora da fare.
Tra di loro ancora il vuoto delle mie mancanze come donna, quel tipo di donna che avrei voluto essere. Poi alzo lo sguardo al cielo, come a prendere un ultimo respiro, una vera boccata d’aria a riempire i polmoni, come se fossi stata senza per tutto il tempo dei miei pensieri.
Il silenzio è la mancanza di un eco che mi rassicuri che quello che sono non scivoli via al termine di ogni giorno, che quello che sono non sia solo per perdersi. Mi ripeto – sta passando – e mi guardo intorno, cerco qualcosa a cui aggrapparmi.
– Il tempo passa – mi dicevi – le cose finiscono, muoiono, se ne vanno, si dissolvono nel niente – Io rimango ferma, come colpita a morte, perché le cose non sono vere fino a quando non le dici tu.
Ogni incontro è iniziare a perdersi, ma il desiderio di un giorno ancora scivola tra le mani come il sapone fra quelle piccole e bianche dei bambini, riporta il profumo ed il pulito, a volte si alza in volo una bolla di sapone, con il colore ed il profumo del tempo dell’innocenza, ma è solo lo spazio per un nuovo desiderio perfetto che non riesce a toccare terra e prendere vita, né sa staccarsi abbastanza da essa perché si possa dire che stia volando.
– Sai cos’è il tempo dell’innocenza? – mi chiedi, e ti rispondo – è il tempo in cui non sai ancora dell’inizio e della fine – Questo fiume taglia Venezia in due lame, d’argento, conficcate come ali nelle mie spalle, in questo silenzio in cui ogni luce è perfetta. Nella sua enormità, nel suo silenzio, nella sua pesantezza, questa città è l’unico sollievo al peso dei miei occhi e del loro silenzio.
Qui nessuno vede.